Nei ricordi di Arezzo Wave gli anni si sovrappongono, si mescolano. Gli episodi faticano ad accoppiarsi con i momenti in cui sono accaduti. Quando c’erano i Mano Negra che anno era? Il ’90? E le meravigliose Zap Mama? E questi e quelli…quanti concerti, impossibile ricordarli tutti, metterli infila ordinatamente. Come al solito sono le emozioni che fissano i ricordi e in fondo non conta molto se quella cosa lì è successa un anno oppure un altro, conta che sia successa, che abbia mosso qualcosa dentro, creato un’emozione. Perché ad Arezzo Wave ci si andava per quello, per vivere belle emozioni in un’atmosfera amichevole e rilassata, così diversa dagli altri festival. Le pettorine degli incaricati della sicurezza recavano la scritta “Friends”, non la sottilmente minacciosa “Security”che siamo abituati a leggere in altri contesti. Non era un caso, ma una scelta. Tutto questo in una città diffidente, a volte ostile, chiusa nel suo provincialismo borghese, che però alla fine apprezzava. Apprezzava soprattutto il tornaconto economico di quelle migliaia di persone che nei giorni del festival inevitabilmente consumavano, contribuendo all’economia locale. Persone, non barbari drogati teppisti punkabbestia, ma siccome non si sa mai, che poi magari ai concerti, Dio non voglia, si fanno le canne e ci scappa il morto, ci pensavano le forze dell’ordine a farti sentire in stato d’assedio con i loro controlli, i posti di blocco, i cani antidroga. Che se ti va bene e becchi un fricchettone con due grammi di fumo, il giorno dopo il giornale locale parla di te e della tua eroica impresa in favore della pubblica legalità, mentre Gelli dorme sereno e indisturbato nella sua villa.in collina.
Arezzo Wave nei ricordi è una serie infinita di flash. I Cccp al vecchio Palasport, acustica terribile ma esibizione provocatoria e intensa. I Mano Negra, alla fortezza in cima alla città, concessa per una sola edizione dall’amministrazione comunale ma teatro magnifico per i concerti di quell’anno. C’erano anche gli Elii e chi, come me, ebbe il privilegio di assistere a quel concerto potè ascoltare le loro versioni, rivedute e molto corrette in modo tanto provocatorio quanto esilarante, dei successi sanremesi di quell’anno. Volevano farci un disco, ma rinunciarono perché c’era aria di una tempesta di querele da parte degli artisti interessati, evidentemente poco inclini a farsi prendere per i fondelli.
Ricordo l’edizione “confinata” in un brullo “campo sportivo” che era in realtà un’area militare di addestramento, situata di fronte a Villa Wanda, la residenza del Maestro Venerabile di mascalzonaggine Licio Gelli. Il piacere più grande era sapere che quella musica ad alto volume lo disturbava parecchio. Almeno…E poi le celebri fiorentine della Trattoria Agania, le trasferte culinarie al Castello di Sorci, le notti nel bosco a tirar l’alba fra concerti e dj set. Anche Firenze, per una sola volta, è stata Arezzo Wave e il ricordo personale più bello è ancora la faccia sorridente di Paul Simonon, basso a tracolla e trolley, che mi saluta entrando in ascensore: Non che lo conoscessi personalmente, semplice cortesia. Io uscivo dall’ascensore dell’albergo, lui entrava. Ricambiare con un altro sorriso e un altro saluto fu automatico. Anche rimanere un paio di minuti fermo fuori dall’ascensore a rendermi conto che quel tipo fugacemente incrociato in un breve istante della mia vita era proprio lui, cazzo, il grande Paul Simonon! Certo, suonava con i The Good the Bad and the Queen al festival…anche un bel concerto tutto sommato, ma insomma, per me lui era i Clash, il resto era relativo. E quel concerto magico delle Zap Mama? Quattro (o erano cinque?) ragazze senza strumenti che incantavano con le loro voci e le loro armonie. La bellezza fatta suono. E non volava una mosca, tutti zitti, ipnotizzati da quella magìa, rapiti, estasiati. E poi l’intervista nei camerini, in contemplazione della Dea Marie Daulne, donna di una bellezza ultra terrena, trascendentale, regale, ma persona cordiale e simpaticissima. L’intervista e poi quell’improvviso fuori programma: “Polyritmie automobile” improvvisata lì in camerino, fantastica. Dopo di allora ho visto tutti i concerti delle Zap Mama a Roma, ho tutti i loro dischi e ho intervistato Marie in altre occasioni, rimanendo sempre imbambolato dalla sua regale magnificenza. Se penso a quanto era triste l’ultima volta…era appena stata lasciata dal suo uomo (sì, possono accadere anche cose come questa nel nostro pazzissimo mondo) che si sarà pure chiamato Michael Franti e sarà stato pure un figo della madonna, però lasciare la Dea…e con chi la sostituisci? Ma Arezzo Wave è stata pure Livorno e Lecce. Erano gli anni dell’esilio, il festival respinto, cacciato dalla sua città, cercava e trovava asilo in altre piazze, in altri stadi. E meno male, pensavamo tutti, che di festival come questo in Italia c’è solo questo. Dove lo trovi un festival il cui patròn è più appassionato e sciamannato dei suoi più deliranti ospiti, che organizza aftershow casalinghi per supplire alla mancanza di “posti dove andare” dopo mezzanotte in una città silente e sonnolente come Arezzo? Dove lo trovi uno che ti fa suonare le più grandi star del rock e non solo, ma ti fa anche conoscere band eccezionali e mai sentite prima provenienti dai quattro angoli del pianeta? Che dà spazio alle nuove proposte attraverso una selezione nazionale? Nuove proposte che qualche anno dopo ti ritrovi magari fra i grandi della musica indipendente italiana? Di nomi ce ne sono troppi per citarli tutti, ma mi fa particolarmente piacere ricordare Pau, il cantante degli aretini Negrita, in veste di runner e Drigo e Cesare impegnati a dare una mano là dove serviva. O un certo backliner degli Afterhours che una volta smesso di portare le chitarre sul palco a Manuel Agnelli, è divenuto un cantante famoso e molto amato dalle ragazzine, insieme alla sua band. Insomma, ad Arezzo Wave hanno mosso i primi passi tanti bravi artisti italiani e anche questo è un merito non da poco per il festival.
Cer5to, in un Paese qualsiasi fra quelli che considerano la cultura una risorsa necessaria allo sviluppo umano, un festival del genere sarebbe stato finanziato, incrementato, sponsorizzato dalle autorità e dai privati. In Italia no, anzi, troppo spesso e a volte anche in malafede, é stato visto come un “covo di barbari” da quelli che lo avrebbero dovuto sostenere (fatti salvi i casi contrari di amministratori intelligenti che pur ci sono stati). Per questo considero una sorta di miracolo della passione e della volontà di Mauro Valenti e di tutti quelli che ci hanno lavorato e contribuito in tanti modi alla sua riuscita e alla sua longevità, che nel 2016 si sia qui a festeggiarne il trentennale, in tempi che sono davvero molto cambiati e non in meglio. Poter dare ancora emozioni a chi vuole averne, di questi tempi non è una vittoria da poco e soprattutto è un esempio da tenere ben presente per combattere la rassegnazione. Lo stato delle cose non esiste, tutto è in continuo movimento, anche, ancora, Arezzo Wave.
Federico Fiume (giornalista)